1924
J.W. diventa campione olimpico di nuoto
1932
J.W. diventa un idolo interpretando “ Tarzan, l’uomo scimmia”
1977
J.W. sbatte la testa. Viene ricoverato. Si riprende presto, ma ogni tanto,
improvvisamente, lancia l’urlo di Tarzan.
J.W. è un uomo solo.
Malato. Vive in uno spazio a metà fra un ospedale psichiatrico e la sua immaginazione. A metà fra la realtà e l’irrealtà.
L’ultimo giorno di J.W., liberamente immaginato dagli autori, è un suo muoversi, dibattersi, immalinconirsi fra il mito del se stesso “personaggio re della giungla” e l’opprimente realtà di un uomo anziano, solo, che si sente profondamente usato dalla grande macchina della finzione americana. E tutto il tempo dell’azione scorre in un dialogo immaginario con un piccolo leoncino di pezza. La sua voce fuori campo , come un flusso di coscienza, ci conduce nel suo delirio.
J.W. in cannottiera e mutande, il volto sfatto, sdraiato su di un lettino d’ospedale con le rotelle all’interno di uno spazio metafisico. Una prospettiva nel vuoto. E poi ancora , in questa sorta di discesa nella memoria, memoria
deformata, memoria che diventa luogo da abitare ecco J.W. ritrovarsi con gli stessi oggetti, il lettino, il comodino, gli zoccoli, nel fondo di una piscina olimpionica vuota. Un fondo in cui, in un disperato tentativo di rievocare il
passato, J.W, cerca di nuotare sul pavimento. Il percorso di questo piccolo monologo interiore, fatto di slanci e di silenzi, tutto dedicato a delle ormai mitologiche tracce di passato del grande attore americano, viene di fatto sviluppato e montato sull’ossatura di una partitura musicale fatta di suoni, ripetizioni verbali, respiri dell’attore stesso che lo intepreta. Un mondo verbale e sonoro inquietante che cerca di far emergere da uno straziante urlo di Tarzan fatto da un vecchio senza denti, il crudele e meraviglioso mondo della finzione, mondo del cinema o più semplicemente fallimento.