Conversazione con Aldo Nove, a cura di Aldo Viganò

A.V.
Da Candide a Candido Soap Opera Musical: che cosa resta di Voltaire?

A.N.
La sua capacità di affrontare il contemporaneo. La grande sfida di Voltaire, da lui risolta sempre con grande ironia e classe, è stata quella di descrivere ciò che stava succedendo intorno a lui. È chiaro che il mondo nel quale Voltaire viveva è completamente diverso dal nostro. Oggi, il suo entusiasmo per l’affermazione di quei valori borghesi che porteranno poi alla rivoluzione francese non è più attuale, perché quei valori sono in crisi; ma di Voltaire rimane affatto contemporanea la capacità di scandalizzarsi e di mettere in ridicolo, divertendosi e divertendo, le caratteristiche del proprio tempo. Voltaire era uno scrittore di cronaca, e lo seppe essere in modo tanto preciso da diventare un classico.

A.V.
Il piacere di scandalizzarsi ti appartiene?

A.N.
Moltissimo. Penso che scandalizzarsi sia una funzione fondamentale dello scrittore, se non la più importante. Oggi più che mai, in un mondo sovraccarico di informazioni e di spettacolo, la funzione della letteratura, della poesia e del teatro diventa quella di proporsi come ambiti di resistenza: fermarsi a riflettere, cercare di capire e interpretare, non subire.

A.V.
Sparare sulla televisione corre però  il rischio di diventare un luogo comune…

A.N.
Quando si parla di televisione non bisogna pensare solo a una scatola, a un oggetto domestico con il quale stabiliamo un rapporto più o meno lungo, per un certo tempo della nostra giornata. La televisione è diventata anche una vera e propria forma mentis, un diverso tipo di approccio gnoseologico all’esistenza. Nell’immenso flusso di informazioni che costituiscono la nostra quotidianità, criticare la televisione significa criticare il nostro tempo per meglio comprenderlo. Il ritmo televisivo detta ormai il nostro ritmo esistenziale, condizionando anche la politica, la cronaca.

A.V.
Quello di Candido è un viaggio: verso o attraverso che cosa?

A.N.
Da Omero a Thomas Mann e tutta la grande tradizione novecentesca, il viaggio è una discesa all’interno di se stessi. Per Voltaire, che era uno scrittore sociale e politico, non si trattava invece di fare un viaggio nella propria interiorità, ma di compiere un percorso quanto più possibile legato alle contraddizioni del proprio tempo. Il viaggio del Candido di Voltaire era un viaggio nella Francia e in tutto il resto mondo che con questa  nazione aveva a che fare. Oggi, mantenere lo stesso spirito significa innanzitutto tradirlo, perché viaggiare ha assunto completamente un altro significato. Oggi possiamo spostarci in tutto il mondo, rimanendo sempre nello stesso luogo. E nello stesso posto rimaniamo quasi sempre anche quando viaggiamo nello spazio: basti pensare alla globalizzazione dei villaggi turistici. Come rendere lo spirito del viaggio, la scoperta e l’omericità di Voltaire, oggi? È questo il problema che è stato al centro del nostro lavoro, anche quando abbiamo seguito fedelmente il racconto di Voltaire. Una fedeltà al suo spirito che inevitabilmente diventa infedeltà alla lettera del testo, proprio perché il mondo è cambiato.

A.V.
E il vostro Candido  dove va?

A.N.
Come nel Candido di Voltaire, il nostro personaggio è l’ingenuo adepto della principale filosofia del suo tempo. Là c’erano Leibniz e il suo teologismo del migliore dei mondi possibili; qua siamo partiti dalla considerazione che la teologia è stata sostituita oggi dall’economia. L’adesione di Candido al liberalismo, all’economicismo assoluto, ci ha fatto venire in mente la figura di un venditore all’interno di una struttura di multi-level-marketing: apologia di una nuova classe economica e teocratica.

A.V.
Perché “soap opera”?

A.N.
Tecnicamente, nella soap opera  c’e qualcosa che appartiene all’epica: anche il suo nucleo narrativo è la divagazione lungo il filo di un pretesto intorno al quale far ruotare il mondo, o almeno un mondo. Questo pretesto narrativo è dato nel nostro Candido Soap Opera Musical dalla storia sentimentale di Candido e Cunegonda, ma il discorso si distende continuamente altrove: proprio come nella soap opera, di cui ritrova anche un certo ritmo.

A.V.
Come ti piacerebbe che uscisse il pubblico dallo spettacolo?

A.N
Divertito, ma con in testa il sottofondo di quella frase che ritorna in modo ossessivo nell’ultimo Beckett: «Qui c’è qualcosa che non va». Lo spettacolo descrive un senso di fastidio nei confronti del contemporaneo, della nostra quotidianità.