SONETTO. Un travestimento shakespeariano

Personalmente molto soddisfatto della riuscita di “Rap”, ho collaborato volentieri ad apprestare i materiali verbali per “Sonetto” che può essere considerato come un ulteriore momento di ricerca sulla linea di quel primo esperimento con Liberovici. Si tratta infatti di sperimentare nuove possibilità nell’incontro tra parole e canto, musica e gesto con riferimenti alle tradizioni al tempo stesso colte e popolari, concertistiche e di consumo. Mi piace designare questo spettacolo come “travestimento”, che mi è una categoria cara nell’ambito delle possibilità che il teatro particolarmente offre. Questa volta, si è trattato di partire da qualche sonetto di Shakespeare devolvendolo alla scena e rimescolandolo arbitrariamente con altri miei versi, sonetti e non sonetti.

Edoardo SanguinetiLiberovici imposta la sua composizione su due zone che corrispondono a due periodi molto lontani tra di loro: il richiamo al tempo di Shakespeare, in verità molto dilatato (comprende infatti riferimenti a Henry Purcell che opera alla fine del Seicento) e la contemporaneità, suddivisa a sua volta nella musica di ricerca e sperimentale e quella di grande diffusione rock, dico, rap.
Le due zone si fondono in un ibrido che amalgama fonti sonore diverse, oltre alla ritmica delle percussioni, prevalgono gli strumenti a corda dal liuto alla chitarra elettrica. Liberovici risolve il contesto elisabettiano scegliendo gli strumenti invece delle opere e non si avvale del patrimonio di musica scritta per il teatro ne nell’età di Shakespeare era molto ricco. Si colgono così i riferimenti a danze d’epoca con cembali e forse una citazione purcelliana. Molto evidente invece è la base ritmica del rock che dalla ripetizione quasi ossessiva degli accordi fondamentali giunge talvolta a torsioni sonore che ricordano Jimi Hendrix. Sul versante proprio della ricerca musicale novecentesca, accanto a ricordi mahleriani (si veda il contrappunto al sonetto 43 “illumini le ombre“), è veramente forte il riferimento alla musica concreta, sperimentata in particolare da Pierre Shceffer a partire dagli anni quaranta, elaborando rumori e suoni tratti dalla quotidianità su nastro magnetico.

Dal libro Shakespeare e il rap di E.Baiardo-F.De Lucis, De Ferrari Editore