TRILOGY IN TWO

 

Recensione “Il giornale della Musica”

Intervista a Andrea Liberovici a cura di Mattia Palma

Recensione de “La Repubblica”


MACBETH REMIX

 

“Macbeth Remix è un concerto live per voci soliste e nastro magnetico, è una follia registrata e campionata da un dj che fa scratch sul verso poetico, è un “concept album” a tratti aspro e respingente su temi shakespeariani che Liberovici, con la consueta ordinatissima follia, allestisce avvalendosi e sfruttando al meglio le virtù dei suoi attori.” (Andrea Porcheddu – Gli stati generali.com)

“In Macbeth Remix il suono è il contrappunto dirompente della parola, musica, respiri, silenzi, stridii, lacerti di discorsi, una folgorante partitura che si espande nelle luci, nelle mai rassicuranti proiezioni che invadono la scena.” (Magda Poli – Corriere della sera)

“La bella partitura sonora di Liberovici, ampia di rimandi e corrispondenze e ricca di suggestioni, che più che assecondare il testo in un certo senso lo combatte come un contrappunto e lo articola e lo struttura in una trama di suoni a controcanto della sonorità della parola, una “musica per gli occhi” secondo una definizione di Edoardo Sanguineti. (Maria Dolores Pesce – Dramma.it)

“La partitura di Liberovici sottolinea il dramma in un crescendo di tensione che non si attenua neppure quando improvvisamente i rumori si sciolgono in melodie volutamente volgari, nenie semplici che accentuano lo straniamento del personaggio. Un lavoro ineccepibile sul piano tecnico e splendidamente interpretato da Bonacelli e dalla Pozzi.” (Roberto Iovino – Repubblica)


FAUST’S BOX

 

Philippe Nahon dirige Ars Nova con flessibilità e rigore; il ritmo è chiaro, nitido, preciso, anche se la musica di Liberovici realtà non improvvisare. Musicalmente e testualmente Liberovici alterna con talento, la speranza, la disperazione, tentativo di fuga, la rassegnazione. E’ la complicità tra Nahon e musicisti che formano la base del successo della serata, in combinazione con un artista eccezionale, Helga Davis, e un compositore di talento, Andrea Liberovici; il collettivo si appropria del mito di Faust in un lavoro assolutamente personale che non copia né si ispira ad alcuno. (Hélène Biard Classiquenews.com)

La cultura ha questa virtù di farci crescere, di elevarci. Faust’Box è come un libro di segreti dove Andrea Liberovici rivela attraverso i sensi la dimensione nascosta della nostra vita. La nostra anima anela ad una vita che abbia un senso ed e che dia risposte ai grandi misteri di Dio, il bene, il male, la morte, l’amore, il sesso … Liberovici con la carismatica Helga Davis androgina, senza un genere, un corpo, un’anima, ci invitano a immergersi nelle profondità della nostra anima, alla ricerca delle parti misteriose di noi stessi, che detengono un potere immenso di guarigione e trasformazione. Se le parole e pensieri hanno già raggiunto un certo limite, i sensi cercheranno la loro definizione come un aspetto artistico . (Laurianne Kaprielian lacultureartlife.com)


TITANIA LA ROSSA

 

“Liberovici ha scritto la partitura procedendo di pari passo con Albertazzi e usando quella tavolozza inesauribile che è la musica d’oggi, fatta di tonalità, di atonalità e di musica concreta” (Virgilio Celletti “Avvenire” del 9/3/2007)


LO ZOO DI VETRO

 

“E’ un sogno tecnologico inquietante e rarefatto l’allestimento dello “Zoo di vetro” di Andrea Liberovici in cui Claudia Cardinale si muove con parsimonia” (“Il tempo”19/10/2006)


URFAUST

 

“Nel teatro della vita e dell’immaginazione si aggira, affidato alla solidità interpretativa di Ugo Pagliai, un Faust depressoe dimesso che inciampa tra le pagine di libri strappate e sparse, un uomo che avendo perso fiducia nella conoscenza è preda della disperazione e pronto alla dannazione” (Magda Poli “Il Corriere della Sera” del 16/7/2005)

“Nel patto scellerato con cui il dottor Faust si lega a Mefistofele per ottenre quei piaceri che la sapienza non ha saputo dargli, viene descritto lo slancio dell’anima verso “la vita senza fine” con momenti di rapidosa densità lirica” (Osvaldo Guerreri “La Stampa” del 12/7/2005)


THE CHILDREN OF URANIUM

 

L’idea è uno spettacolo multimediale in cui la tabella degli elementi è il filo conduttore e voce narrante in una performance che fonde teatro, musica e video. Dice Liberovici “lavorare per questo progetto conferma sempre di più la convinzione che tra comporre immagini e comporre musica non ci sia differenza”. (Irene Bignardi da La Repubblica, 17.10.2005)

Non solo padri ha scelto Greenaway “Perchè sono i figli che contano” e i Figli dell’Uranio siamo tutti noi, a cominciare da chi è nato dopo Hiroshima e Chernobyl, spiega la regista dello spettacolo, l’olandese Saskia Boddeke che con Andrea Liberovici, creatore delle strepitose musiche elettroniche e acustiche (flash di melodramma e musical), ha curato l’intera azione. (Claudia Provvedini da Il Corriere della Sera, 03.11.2005)

Varcata la soglia, è la musica ad accogliere i visitatori di questa installazione-spettacolo che hanno trasformato il museo in una casa dei “figli dell’uranio”. Le note si miscelano e si rincorrono, da una stanza all’altra, i temi si “sporcano” e poi ritrovano il loro nitore. (Silvana Zanovello da Il Secolo XIX, 03.11.2005)


CANDIDO SOAP OPERA MUSICAL

 

Avventure su avventure, canzoni su canzoni, rime esilaranti: la faccenda si sviluppa sugli schemi di un’epica contemporanea, cioè di una soap. Aldo Nove è preciso in tre direzioni: nella critica del tempo in cui gli è toccato vivere; nel rimpianto sfacciato dell’infanzia, sua e del mondo; nel disegno di una genealogia, da Voltaire in poi, di scrittori smerriti nel tracciare il confine che separa, in ciascuno, l’ingenuità e la stupidità. (Franco Cordelli da Il Corriere della Sera, 09.06.2004)

Si può essere ingenui al giorno d’oggi?(…) questa domanda devono essersi posti gli autori di Candido (…) Hanno fatto ricorso a un monumento come Candido di Voltaire che, con i suoi personaggi alla ricerca del migliore dei mondi possibili, ispira ironia e tenerezza. Accuratamente rivoluzionario, il testo si articola in due tempi: recitati e cantati da quattro attori e cinque musicisti presenti in scena nonchè da proiezioni recitate e cantate tra le quali troneggia un ineffabile Gianfranco Funari che appare solo in immagine televisiva e presentare la cultura contemporanea: l’immagine esemplare per un giovane che voglia raggiungere il mondo migliore che c’è oggi a disposizione. Uso sapiente del mezzo musicale, testo spericolato e affascinante, acrobazie canore, tutti circondati dalle proiezioni e dai fantastici effettivi di luce concepiti da Sandro Sussi. (Alvise Sapori da La Repubblica, 07.06.2004)


ELECTRONIC FRANKENSTEIN

 

Ispirandosi al Dr. Frankestein di Shelley, Liberovici mette in scena una creatura quasi umana, fatta di echi sonori, di gesti e parole, dove il movimento di ogni parte del corpo, richiamano suoni diversi, anzi, ne sono la materializzazione. La creatura è una Ottavia Fusco angelica e diabolica, nè maschio nè femmina, splendida e inquetante interprete di una continua mutazione senza identità sessuale. In questo progetto Liberovici pone al centro dell’attenzione i modi interattivi del comunicare, e lo fa partendo dalla drammaturgia del suono, dai suoi rapporti con la tecnoogia, la parola, le luci e il gesto. (Simona Griggio da Il Secolo XIX, 23.11.2002)


SEI PERSONAGGI.COM

 

“(…) Non ci sono diavolerie tecnologiche, a parte una raffinata elaborazione degli effetti sonori.” (Masolino D’Amico da “La Stampa” del 24/6/2001)

“Integrale riscrittura di un classico del Teatro del novecento nella prospettiva di un labirintico gioco di specchi e di citazioni” (M. B. da “La Stampa” del 14/6/2001)


“64”

 

“Nell’armadio di Judith Malina è nato 64, suggestiva ressurezione di voci passate in musica eletteonica: da beck a Cage con frasi anche in italiano. Unici strumenti esterni: il battito del cuore del compositore e il gukuin, antica arpa cinese.” (Laura Putti “La Repubblica” del 3/4/2000)


RITRATTI ACUSTICI

 

“Andrea Liberovici propone una galleria di “ritratti acustici” dei potenti della terra, realizzati utilizzando la “grana” della loro voce, il timbro e la ritmica della loro declamazione” (Sandro Ricaldone “Il Secolo xix” del 28 /6/2001)


MACBETH REMIX

 

Tutto è affastellamento di schiocchi, sibili, canzoni, lacerti mahleriani e brandelli di bel canto, rumori pervasivi e intermittenze soniche techno, attorno a Macbeth; (…) E’ interessante notare come, dall’accumulo caotico di suoni che aggrediscono lo spettatore nei tratti iniziali, si dipani poi, progressivamente, un ordine narrativo- musicale via via più chiaro, mano mano che la vicenda, invece, capitola verso la follia ineluttabile di una storia “piena di rumore, e di furore, e che però, poi significa niente”. (Guido Festinese da Il Manifesto, 29.04.1999)

Una musica scritta su uno strano spartito chiamato Macbeth con le sue note di continui temporali, di civette premonitrici, di duelli di spade, di urla dei bambini, di voci della coscienza di Macbeth in bilico tra ragione e carattere, tra ambizione e destino, tra demoni e il culmine della vita e della felicità. (Il Corriere della Sera, 09.07.1998)


SONETTO

 

La partitura musicale spazia ampiamente fra le tradizioni colte e di consumo a momenti di efficace creaticità; ma soprattutto si sposta in felice binomio con i “materiali verbali” a disposizione, là dove Liberovici regista riesce a infondere alla performance anche una configurazione visiva opportunamente coerente; nella sobrietà dei movimenti coreografici, nella ricerca non insistita di oggetti o gesti simbolici, tra sdoppiamenti di personaggio e asciutti giochi di luce. (Fulvio Barberis da La Repubblica, 13.02.1997)

Liberovici scompone e rimonta, in maniera inedita e complessa, materiale sonoro attraverso spinte centrifughe che spostano continuamente gli orrizzonti. I ritmi rap, sincopati e reiterati, entrano direttamente all’interno dei sonetti shakespeariani, e sanguinetiani, frangendoli in lacerti linguistici che si caricano di ulteriore forza sonora. Lavorando su campionature, riproduzioni di voci e rumori ripetuti e distorti, tensioni dodecafoniche, Liberovici crea una macchina scenica in cui l’uso del corpo e della voce “dal vivo” non è elemento principale ma uno dei molti ingredienti dello spettacolo. (Marco Romani da Liberazione, 05.04.1998)


RAP

 

“E’ un coinvolgente e originale progetto, che non si può raccontare ma bisogna vedere e sentire, uno sposalizio ben riuscito tra la musica giovane e la poesia (…)” (Barbara Gizzi “Il Tempo” del 22/11/96)

“La scena è nuda, con reti metalliche a rimandare le realtà dure e urbane, e giochi di luci anche per dare alle immagini raccontate di un sogno un ritmo quasi da videoclip” (“Corriere delle Sera” del 15/11/96)